venerdì 13 giugno 2014

la tua felicità

Hai pensato che prima o poi sarebbe arrivato anche per te il momento della felicità, quell'attimo in cui ti saresti sentita sollevata da tutto, da un'entità superiore, come dici tu, che proprio quel giorno e a quell'ora avrebbe deciso di farti un dono. Non perchè sei tu, non perchè la felicità l'hai cercata più o meno degli altri, ma solo perchè sei passata di lì, perchè in quel momento la fortuna finalmente ha deciso di guardare nella tua direzione.
E ora ti arrabbi, calci urli e strepiti perchè quel momento ti sembra non arrivare mai. E tutto quello che accade nel frattempo ti sembra un torto tremendo. Ti sembra negazione della felicità, non assenza di felicità. E, bada bene, non è la stessa cosa.
E allora piangi e sbatti i pugni e gridi che non è giusto e che tutti hanno diritto alla loro dose di felicità. E così facendo perdi tempo, perdi controllo, perdi risorse utili che invece devi usare per lottare.
Perchè la felicità non piove dal cielo, ed è inutile che continui a guardare in alto aspettando che ti piombi addosso.
Guardati attorno, scava, fruga, sdraiati, sporcati, rompiti le unghie, ferisciti le mani. Devi sudare, correrle dietro, inseguirla finchè non hai più fiato, finchè hai i piedi tagliati e le ossa rotte.
C'è da lavorare per essere felici, bisogna fare fatica, bisogna essere determinati a volerla, questa felicità, e a saperla tenere stretta.
Perchè quella, la vigliacca, si nasconde e si camuffa. E se per caso, dopo un certo tribolare, riesci ad agguantarla, quella codarda farà di tutto per sgusciare via.
Perchè la felicità non può essere posseduta, ma solo, se sei fortunata, catturata per un po'.

mercoledì 12 febbraio 2014

IL CORPO NON DIMENTICA

Quando avevo ventun anni ho avuto un brutto incidente in motorino.
Mi ero fermata al semaforo rosso. Quando è scattato il verde sono ripartita, tranquilla e sicura.
Troppo tardi mi sono accorta che un altro motorino stava attraversando l'incrocio a velocità folle, ignorando il rosso che avrebbe dovuto rispettare. Troppo tardi ho provato a frenare. Tutto troppo tardi.
Mi sono ritrovata per terra, circondata da pezzi di plastica, da gente curiosa e preoccupata, da macchine impazzite per il traffico bloccato.
La prima cosa che ricordo è la sorpresa. L'incredulità e il senso di stranezza che mi dava essere seduta in mezzo alla strada, sull'asfalto. Vedere la mia borsa rovesciata per terra, il mio piede senza una scarpa, toccare con le mani lo sporco e la polvere. Come nelle vignette della Settimana Enigmistica in cui devi trovare l'oggetto fuori posto. IO ero l'oggetto fuori posto.
Poi ho iniziato a mettere insieme i pezzi. Ho provato a capire se ero viva. Sì, ero viva.
E avevo tante cose a cui pensare: avvertire i parenti, avvertire che non sarei andata al lavoro, pensare a dove mettere il motorino in attesa di capire che farne, salire sull'ambulanza e andare al Pronto Soccorso.
Per fortuna si è concluso tutto bene: nessun osso rotto, molti lividi, molta paura.

La mattina dopo, tuttavia, ho fatto i conti con il mio corpo.
Il collo e le spalle erano contratti e bitorzoluti, probabilmente come "annodati" dalla tensione. L'ematoma enorme che avevo sulla coscia mi impediva qualsiasi movimento. La testa mi faceva male e l'immagine di me sdraiata per terra non mi abbandonava.
Il dolore viene dopo. Il trauma passa, gli incidenti succedono, ma è con la memoria del trauma che dopo si fanno i conti.

Ecco perchè stamattina, dopo aver portato R (anni tre) a fare un prelievo del sangue di routine, essere stata forte, simpatica, organizzata, rilassata perfino. Avergli fatto i complimenti perchè non ha pianto, aver fatto colazione al bar come piace a lui, aver preso la macchina, aver parcheggiato davanti all'asilo. Dopo averlo accompagnato in quel luogo magico con piccole sedie, piccoli tavoli, piccoli bimbi e grandi sorrisi.

DOPO, appena messo un piede in macchina, mi è piombata addosso la stanchezza di una centenaria. Mi facevano male tutte le ossa, desideravo solo nascondermi sotto a una coperta e piangere. Ho visto ancora quel buco nero e fondo che pensavo di avere dimenticato. Ma il mio corpo se lo ricordava benissimo e ha sentito immediatamente tutto il peso di quei giorni e di quei pensieri.
Ecco come ho passato la mattinata, attorcigliata sul divano incapace di muovermi.
Come dopo un incidente stradale.

Il corpo non dimentica.

lunedì 3 febbraio 2014

la moglie dell'Arcimboldo


Ho avuto una conversazione interessante ieri.
La moglie di un collega di mio marito sosteneva che grazie a questo nuovo (ORRENDO, DETESTABILE, ODIOSO) lavoro dei nostri mariti, si può permettere tante cose che prima non poteva permettersi.
In effetti lei e i bimbi sono sempre vestiti di tutto punto, ordinati, pettinati. Hanno la macchina nuova e una tv grandissima. Lei, in particolare, ama molto le scarpe (E CHI NON LE AMA?!?!) e quindi ora può permettersi decolteè, ballerine, sneakers, scarponi da neve, polacchini, tronchetti, stiletto in grande quantità.

Siccome io nella testa, come già detto più volte, ho una specie di contatto, forse due sinapsi impazzite che fanno lo scivolo e giocano a tennis collegandosi solo ogni tanto e suggerendo alla mia coscienza immagini tanto improvvise quanto inaspettate, mentre questa mia omologa parlava, davanti ai miei occhi è calata una virtuale tendina con una grande proiezione.
Ecco, ieri, nel bel mezzo di una conversazione, il mio cervello proiettava le diapositive di alcuni quadri dell'Arcimboldo.
Avete presente quei personaggi realizzati mettendo insieme frutta e verdura?
Ecco.

Purtroppo l'immagine seguente era quella del marito della suddetta: un Arcimboldo de' noaltri, composto da scarpe di tutti i tipi...un tacco 12 per il naso, una ballerina al posto della bocca. Una cascata di riccioli di cuoio (lacci di sandali estivi). Due belle gote di mocassino e un bel moon-boot a mo' di cilindro.

Quindi, ho dedotto, una montagna di scarpe in un certo senso è sostituibile ad un marito?
Beh, se si è capaci di assemblarle nella maniera giusta, evidentemente sì.

mercoledì 29 gennaio 2014

29 gennaio 2011

All'inizio ho pensato a un'indigestione. Qualche dolorino e un po' di fastidio che alle 4 di notte mi faceva dormire male.
Poi i dolorini sono diventati più intensi e più frequenti e ho cominciato a pensare che mi stessi facendo uno scherzetto, perchè alla trentaseiesima settimana+3 non dovevi venire fuori ancora.
A un certo punto è stato evidente che dovevo alzarmi, fare la doccia, fare la valigia, svegliare tuo padre...
Con il senno di poi, non avrei passato mezzora a stirare la mia vestaglia e i tuoi minuscoli vestitini tra una contrazione e l'altra mentre fuori albeggiava.
Non avrei aspettato le 8 per svegliare il papà, che, non conscio dell'urgenza della cosa, si è fermato a prendere il caffè ed è sceso a comprare il giornale per "cambiare i soldini per il parcheggio". (Così mi ha detto, quello là. Mentre io soffrivo troppo per poterlo fulminare, come avrei fatto in altre occasioni.)

Ed ecco che alle 9 siamo riusciti a varcare la soglia di casa e mentre il papà guidava tra l'incredulo e l'agitato, io e te abbiamo iniziato la nostra lotta di tira e spingi, sali e scendi, stringi e allarga.
Due piccoli lottatori, tu la barchetta e io il porto a cui approdare nel pieno della tempesta.
Entrambi schiaffeggiati dallo stesso mare impetuoso. Entrambi impegnati nella stessa battaglia e spintonati come muli testardi dall'invincibile forza della natura.
Questo mi sono sentita: un piccolo sassolino sbattuto sulla risacca che non può fare altro che aspettare di sapere dove sarebbe rotolato.

Poi, la quiete.
E un piccolo corpicino nudo e blu, caldo e profumato, che finalmente riposava, stanco e umido, su di me.

Da quel giorno è tutta un'altra storia.

Auguri amore mio,
la tua mamma